NEUROPRISON

Film: Action - Thriller - Horror, tra classici e novità

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view post Posted on 11/4/2019, 11:20

Too lazy to be scared

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Visto il film-evento horror della stagione, quell'US realizzato dal Jordan Peele di Get Out - Scappa.

Per chi l'avesse già visto, in spoiler la mia recensione:
Da bambina, durante l'estate del 1986, Adelaide Thomas subisce un'esperienza traumatica sulla spiaggia di Santa Cruz. Più di trent'anni dopo Adelaide torna nella suddetta località assieme alla sua famiglia: il marito caciarone, la figlioletta un po' nerd e il figlio più piccolo un po' strambo. Già in mattinata si inizia a respirare una strana aria, con tanti piccoli particolari fuori posto, ma è la sera che la situazione degenera: chi sono quei quattro individui rossovestiti che stanno immobili di fronte a casa? Ed è solo un'impressione, o i quattro assomigliano tanto ad Adelaide e al resto della sua famiglia?

Atteso dopo l'esploit di Get Out, il talentuoso Jordan Peele ci offre un saggio del suo eclettismo, della sua cura per il dettaglio, dell'enciclopedica conoscenza in suo possesso del political horror, del suo narcisismo e di una furbizia che sconfina nel più puro opportunismo.
Il tema fondante è quello del "doppio", e il Peele sceneggiatore è assai accorto nel rendere inscindibili l'aspetto psicologico connaturato al termine con quello politico-sociale: il doppio è quello che ci somiglia ma è al contempo molto diverso da noi, è la nostra immagine speculare, la nostra ombra, è ciò che pensiamo di poter rimuovere ma che ci rimane incollato addosso, sono gli scheletri del nostro passato, rappresenta ciò che "saremmo potuti essere se...".
Ad un primo livello, la metafora che Peele imbastisce è perfettamente intellegibile: negli Stati Uniti (US, esattamente) la cultura prettamente individualista porta a tenere due atteggiamenti complementari nei confronti dell'altro, ovvero far finta che non esista o, altrimenti, temerlo. Attorno a questo assunto Peele innesca una sofisticata struttura di rimandi e significati nascosti nel quale ogni particolare può essere letto in relazione al tutto secondo parametri più emotivi che razionali: le tute rosse simili a quelle dei prigionieri di Guantanamo, le forbici e le gallerie sotterranee (simboli freudiani palesi), i conigli, le ombre (che rimandano a Platone più che a Jung), le mani che si stringono a formare un muro, e via dicendo. Un'enorme mole di suggestioni volutamente mercuriali e confuse, volta a suscitare dibattiti e discussioni - e in giro ce ne sono una marea - ma che altresì finisce per nuocere alla coerenza interna della storia, che vacilla sotto il peso delle metafore che mette in campo e che finisce per incorrere in palese contraddizione (la più evidente delle quali è il ricorso ad una astrazione quale quella degli "esperimenti governativi", che non solo rappresenta un escamotage facile facile, ma indebolisce la carica politica dell'opera e ne mina la credibilità: come fanno le cavie dell'esperimento ad essere consapevoli di essere tali?).
Dotata di uno splendido sound design, Us è visivamente un'opera curatissima ed elegante che non ha bisogno di banali jump scares per fare paura. Narrativamente invece Peele non sembra ancora giunto a piena maturazione: le parti comiche non appaiono, come in Get Out, divagazioni fuori luogo, però non sono ancora ben amalgamate con il clima di tensione, anzi tendono a spezzare un po' il ritmo (vedasi la scena in cui i protagonisti discutono su chi debba guidare la macchina); i momenti di violenza poi sembrano "trattenuti" e poco incisivi, fatti apposta per essere digeribili da un'audience non adusa all'horror.
Complessivamente, US è un'opera affascinante ma poco coesa e soprattutto meno dirompente di quanto sarebbe potuta essere (e, forse, di quanto lo stesso Peele auspicava), condizionata in negativo proprio dal suo proporsi come film-evento. E' altresì piena di spunti di riflessione e di dibattito, il che, in un'epoca in cui i film di successo sono didascalici e semplicistici, non è cosa da poco; proprio per via delle sue smisurate ambizioni, però, US fa al contempo risaltare come Peele ancora non possegga la statura culturale dei suoi modelli (Carpenter, Romero, Kubrick), quella statura che gli avrebbe permesso di reggere con coerenza fino in fondo tutte le implicazioni messe in campo dalla sua sceneggiatura.
Per chiudere con supponenza questa mia recensione, cito un brano letterario a cui il film mi ha fatto pensare:

Una notte la gente dello specchio invase la terra. Irruppe con grandi forze. Ma, dopo sanguinose battaglie, le arti magiche dell’Imperatore Giallo prevalsero. Egli ricacciò gli invasori, li incarcerò negli specchi, e impose loro il compito di ripetere, come in una specie di sogno, tutti gli atti degli uomini. Li privò di forza e di figura propria , riducendoli a meri riflessi servili. Un giorno, tuttavia, essi si scuoteranno da questo letargo magico. Il primo a svegliarsi sarà il Pesce. Nel fondo dello specchio scorgeremo una linea sottile, e il colore di questa linea non rassomiglierà a nessun altro. Poi verranno svegliandosi le altre forme. Gradualmente, differiranno da noi; gradualmente, non ci imiteranno. Romperanno le barriere di vetro o di metallo e questa volta non saranno vinte. Al fianco delle creature degli specchi combatteranno le creature dell’acqua. Nello Yunnan si parla non del Pesce ma della Tigre dello specchio. Altri intende che, prima dell'invasione, udremo nel fondo degli specchi il rumore delle armi.

Jorge Luis Borges, "Manuale di zoologia fantastica"
 
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view post Posted on 24/4/2019, 16:59

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view post Posted on 26/4/2019, 06:09

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Questo aggiornamento dei film di Bud Spencer e Terence Hill in versione kolossal mi intriga assai di più rispetto agli ultimi F&F. Poi c'è pure Vanessa Kirby :wub:
 
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view post Posted on 26/5/2019, 21:17

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Volevo segnalare un altro bellissimo horror atmosferico, tratto da Shirley Jackson
We_Have_Always_Lived_in_the_Castle
In spoiler la rece
New England, (probabilmente) anni 60: le giovani sorelle Blackwood vivono nell'isolata, gigantesca magione di famiglia assieme allo zio invalido, Julian. La maggiore delle due, Constance, si comporta da perfetta padrona di casa, sempre sorridente e accondiscendente, sempre elegante e sempre in cucina a preparare manicaretti, però è talmente agorafobica da non riuscire a mettere piede neanche nei pressi del cancello della villa; anche la piccola, Mary Katherine (detta Merricat), non ama uscire di casa, ma si forza - previa una serie di rituali magici protettivi - ogni giovedì ad andare in paese e comprare svariati generi alimentari, benché nel frangente venga aggredita verbalmente dall'aperta ostilità dei paesani; lo zio (un po' rimbambito) passa il tempo a scrivere le memorie relative alla cena di 6 anni prima nella quale persero la vita, per avvelenamento, sua moglie e i genitori delle ragazze. L'equilibrio di casa Blackwood inizia a vacillare con l'arrivo del fascinoso cugino Charles, i cui modi sicuri e la somiglianza con il padre ammaliano Constance ma indispongono Merricat.

L'eterna sottovalutata - almeno fino a pochi anni fa - Shirley Jackson condensa nel romanzo del 1962 molte delle sue fobie: lasciare le mura di casa, la cattiveria delle masse, l'autoritarismo maschile. Le due protagoniste dell'opera potrebbero essere intese come sue due "versioni" di sè, quella sprovveduta che vorrebbe far colpo sugli altri ma si ritrova terrorizzata all'idea di aprirsi al mondo e quella chiusa, rancorosa e protettiva che suscita disapprovazione, disprezzo e paura negli altri.
Riproporre queste tematiche rendendole cinematograficamente attraenti non era impresa di poco conto, soprattutto in considerazione del fatto che di azione in questa favola gotica non è che ce ne sia poi tantissima; eppure a Stacie Passon il gioco riesce, grazie alla strana atmosfera che dona al film e all'ottima gestione dei vari crescendo narrativi.
La regista adotta la prospettiva di Merricat in maniera mirabile, facendo avvertire a noi spettatori quanta ansia possa suscitare una passeggiata in paese, quanto triviali possano apparire il buonsenso e la normalità, quanto abusiva e greve possa risultare la risolutezza maschile. Il rischio del manicheismo era altissimo, ma la reale "magia" sta nell'avere costellato la pellicola di quasi impercettibili colpi di scena (lo zio Julian che si alza di soprassalto dalla sedia a rotelle, le meschine massime classiste che Merricat ha mutuato dal padre o l'accenno che è stata proprio lei a spifferare - e quindi mandare a monte - la relazione di sua sorella con un ragazzotto del paese, oltre che la geniale trovata dei paesani che lasciano il "consòlo" di fronte alla villa delle ragazze il giorno dopo averla letteralmente messa a soqquadro) che rendono un po' più complessa la lettura della vicenda.
Da studiare a scuola di cinema il montaggio di un paio di intensissime scene ambientate nella camera da pranzo, rimarchevoli le performance della Daddario e di Crispin Glover.
 
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