In un ottica occidentalizzata di una visione orientale...cioè cosa ci capisco io, in quanto occidentale, di tutte le metafore che raffigurano dio nelle culture che non sono la mia (Non faccio riferimento alla mia cultura perchè come credo tutti siate daccordo il Cristianesimo che ci arriva e che percepiamo è definitivamnete distorto e compromesso rispetto il suo messaggio originale).
Comunque da quel che ci capisco io (interpretando una visione mitologica sia ben chiaro) dire che Dio è dentro o fuori di noi... dipende solo dal fatto che è da quando nasciamo che separiamo e classifichiamo. E quindi creiamo un fuori e un dentro di noi. Separato. Però anche logicamente questa è una pura convenzione.
Gran parte dei miti sulla creazione riguarda il vuoto che per comprendere se stesso, si divide da se stesso in modo da potersi riconoscere. Il punto è qui: se il vuoto (Dio, Brahman, Jave, grande puffo)... ha bisogno di riconoscersi vuol dire che non è consapevole di se, ma sta crescendo. Noi siamo quella sua parte "che classifica". Ma dire parte è sbagliato perchè una convenzione. Allora noi siamo Dio che classifica?.
Questo è limitante... però guarda caso alla fine del processo evolutivo che conosciamo (un casuale scontrarsi di vite che si nutrono di vita (dio che si nutre di se stesso, in infinite mitologie...anche l'eucarestia cristiana)), mi sembra che l'essere umano sia l'unico produttore di coscienza.
Poi c'è il tempo, che è una nostra percezione quindi in questo istante tutta la creazione è iniziata e finita...per cui Dio è sia cosciente sia incosciente di Se. E questo razionalemente non possiamo concepirlo.
Per cui c'è qualcosa che la nostra capacità di classificare non è in grado di capire...
Però se smettiamo di separare e di classificare una cosa alla volta, cosa per cui siamo ingabbiati in sequenzialità temporali...forse potremo fare esperienza di non separazione. Cioè del tutto cioè di Dio.
Questo è un minestrone di pensieri nati sulla comparazione di mitologie di tutto il mondo, poichè guarda caso c'è sempre un filo che lega tutti i miti della creazione (ma non solo... si veda il messia nato da una vergine, il cammino dell'eroe ecc.. ).
EDIT:
un po' di considerazioni non mie...rileggendo questa cosa mi sono accorto di aver preso parecchio spunto da qui. Però al momento non me ne sono reso conto:
Chi ha sperimentato che, attraverso i simboli, gli opposti si possono <<naturalmente>> unire in modo da
non divergere e non essere più in conflitto tra loro, ma in modo tale che si completino vicendevolmente e
diano forma e significato alla vita, non trova più difficile concepire l’ambivalenza nell’immagine di un Dio-
natura o un Dio-creatore. Al contrario, capirà allora il mito della necessaria incarnazione di Dio – l’essenza
del messaggio cristiano – come il proficuo confronto dell’uomo con gli opposti e la loro sintesi nel <<sé>>, la
totalità della sua personalità. Le inevitabili contraddizioni interne nell’immagine di un Dio creatore possono
essere riconciliate nell’unità e nella totalità del <<sé>> come coniunctio oppositorum degli alchimisti, o
come unio mystica. Nell’esperienza del <<sé>> non sono più, come prima, gli opposti Dio e uomo, che sono
riconciliati, ma piuttosto gli opposti che sono all’interno dell’immagine di Dio stesso. […]
In virtù del suo spirito riflessivo l’uomo si è sollevato dal mondo animale, e con la sua intelligenza dimostra
che in lui la natura ha conferito un’alta ricompensa proprio allo sviluppo della coscienza. […]
Se il creatore fosse cosciente di Sé, non avrebbe bisogno di creature coscienti; né è verosimile che le vie
estremamente indirette della creazione – la quale profonde milioni di anni per lo sviluppo di innumerevoli
specie e creature – procedano da una intenzione rivolta ad uno scopo. La storia naturale ci narra di una
casuale e provvisoria trasformazione delle specie per centinaia di milioni di anni , di divoratori e divorati. La
storia biologica e politica dell’umanità è una elaborata ripetizione dello stesso fenomeno. Ma la storia dello
spirito offre un quadro diverso. In essa interviene il miracolo della coscienza riflettente, la seconda
cosmogonia. L’importanza della coscienza è così grande che non si può fare a meno di supporre che da
qualche parte, in tutta la smisurata e apparentemente senza significato organizzazione biologica, si
nasconda l’elemento significativo, e che questo abbia alla fine trovata la via per manifestarsi al livello degli
animali a sangue caldo, dotati di un cervello differenziato, via trovata come per caso, non prevista e voluta,
e pure presagita, sentita per un <<oscuro impulso>>. […]
Il bisogno di affermazioni mitiche è soddisfatto quando ci costruiamo una visione del mondo che spieghi
adeguatamente il significato dell’uomo nel cosmo, una visione che scaturisca dalla nostra interezza
psichica, cioè dalla cooperazione della coscienza e dell’inconscio. La mancanza di significato impedisce la
pienezza della vita, ed è pertanto equivalente alla malattia. Il significato rende molte cose sopportabili,
forse tutto. Nessuna scienza sostituirà mai il mito. Non <<dio>> è un mito, ma il mito è la rivelazione di una
vita divina nell’uomo.[…]
Il mito è o può essere ambiguo, come l’oraciolo di Delfi, o come un sogno. Non possiamo e non dobbiamo
rinunciare a far uso della ragion; e neppure dobbiamo abbandonare la speranza che ci soccorra l’istinto –
nel qual caso un Dio ci sostiene contro Dio, così come già comprese Giobbe. Tutto ciò attraverso cui si
esprime l’<<altra volontà>> è materia formata dall’uomo, il suo pensiero, le sue parole, le sue imamgini, e
tutte le sue limitazioni. Di conseguenza egli ha la tendenza a riferire ogni cosa a se stesso, quando comincia
quando comincia a pensare in termini rozzamente psicologici, e crede che tutto derivi dalle sue intenzioni e
da <<lui stesso>>. Con infantile ingenuità presume di conoscere tutti i propri poteri e di sapere che cosa è
<<in sé>>. Pure fatalmente egli è messo in difficoltà dalla debolezza della sua coscienza e dalla
corrispondente paura dell’inconscio, e pertanto è letteralmente incapace di distinguere ciò che egli ha
pazientemente ricavato col ragionamento da ciò che spontaneamente gli è venuto da un’altra fonte. Non
ha oggettività di fronte a se stesso […]
L’individuo fa ancora assegnamento su un’organizzazione collettiva che realizzi per lui la sua
differenziazione; cioè egli, non ha ancora riconosciuto che differenziarsi dagli altri e reggersi sulle proprie
gambe è un compito individuale.
- Carl Gustav Jung: Ricordi, sogni, riflessioni -
Jung roccheggia
Edited by fa_ - 30/9/2008, 09:38