Interessantissima riflessione di Angelo Panebianco sull'Europa dinanzi alla crisi in Georgia, dal Corriere della Sera.
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Machiavelli, le cui idee, dopo cinquecento anni, continuano a scandalizzare tanti, diceva che i profeti disarmati sono sempre destinati alla rovina. In Europa occidentale coltiviamo da tempo (con un’ossessione particolare dopo la fine della guerra fredda) l’idea che il Diritto e la Morale possano sostituire nel mondo la Forza e che l’Europa stessa, la sedicente «Europa civile», abbia una speciale missione da svolgere per attuare questo stupefacente disegno. Si tratta di una tragica illusione. Il diritto e la morale possono, nelle faccende internazionali, legittimare la forza (possono dare «più forza» alla forza) ma non possono sostituirla. Con la sola eccezione del Papa, gli altri, se vogliono contare e decidere del proprio destino, devono disporre anche di un bel po’ di «divisioni». Molti commentatori europei sostengono che, con la cosiddetta «mediazione », fra russi e georgiani, del presidente francese Sarkozy, l’Europa (l’Unione Europea) è tornata a contare nel mondo.
Ma se consideriamo freddamente i fatti dobbiamo ammettere che, al contrario, l’Europa esce malissimo da questa crisi. Ha solo mostrato una volta di più che essa non è neppure embrionalmente e, continuando così, non diventerà mai, un’entità politica. Per tre collegate ragioni. La prima è di immagine (ma nella politica internazionale l’immagine, e quindi il prestigio, contano tanto) e le altre due di sostanza. Con i militari russi che tuttora occupano spavaldamente ampie porzioni di territorio georgiano anche fuori dell’Ossezia e dell’Abkhazia, la cosiddetta mediazione europea è stata irrisa e sbeffeggiata. I russi, dedicandosi a ciò che essi chiamano «misure aggiuntive di sicurezza» (la distruzione, tuttora in atto, delle strutture militari georgiane) e procrastinando il più possibile il ritiro delle truppe, stanno chiarendo che, nei loro intendimenti, la Georgia (rea, tra l’altro, di fare transitare verso l’Europa energia non direttamente controllata dai russi) dovrà avere un futuro di «sovranità limitata ». L’Europa, con la sua cosiddetta mediazione, è oggi, agli occhi di tutto il mondo ex comunista (sia le vecchie colonie «interne » dell’Urss che i suoi vecchi satelliti) nient’altro che la complice, più o meno riluttante, di questo disegno russo. Un pessimo risultato di «immagine» davvero. La seconda ragione è di sostanza. In questa crisi l’Europa (occidentale) ha preso di fatto le distanze dagli Stati Uniti, li ha lasciati soli a condannare «senza se e senza ma» la Russia e a sostenere l’integrità della Georgia.
Con il doppio effetto di indebolire diplomaticamente gli Stati Uniti e di dare al risorto imperialismo russo la possibilità di sfruttare le divisioni occidentali al fine della ricostituzione della propria area di influenza. La prossima volta potrebbe toccare all’Ucraina. Noi europei faremo allora un’altra brillante mediazione? Davvero il mondo ex sovietico è oggi più sicuro di quanto sarebbe stato se l’Europa avesse fatto fronte unico con gli Stati Uniti nel contrapporsi politicamente alla Russia in questa crisi? La Polonia (che, oltre che della Nato, fa parte dell’Unione europea) è appena stata minacciata di possibile attacco nucleare visto che ospiterà lo scudo antimissilistico statunitense. La cosa, forse, ci riguarda. La terza ragione della pessima prova offerta dall’Unione in questa crisi (o meglio, dai suoi Paesi leader) riguarda lei stessa, i suoi rapporti interni. L’Europa occidentale ha dimostrato una sordità sconcertante di fronte alle paure dei Paesi ex comunisti, ivi compresi quelli che fanno oggi parte dell’Unione. Che i polacchi e i baltici fossero, insieme agli ucraini, a Tbilisi a sostenere il presidente georgiano Saakashvili, non è frutto di capricci o di una infantile volontà di disobbedire ai «grandi» dell’Unione.
Non si capisce perché abbiamo fatto l’allargamento europeo se non siamo disposti a farci carico delle paure degli ex satelliti di Mosca, quei Paesi che hanno sperimentato sulla propria pelle, per tantissimo tempo, i rigori del potere russo. In questa crisi, abbiamo purtroppo chiarito, non solo alla Georgia, all’Ucraina e agli altri Paesi ex sovietici, ma addirittura agli ex satelliti, quelli che sono già nell’Unione europea e quelli che sono in procinto di entrarci, che essi potranno sperare solo negli americani perché a noi, delle loro paure e della loro sicurezza, importa poco. Su queste basi non è possibile che l’Unione europea, l’Europa a ventisette, l’Europa dell’allargamento, possa immaginare di avere un qualsivoglia futuro politico. Ma, si dice, non possiamo isolare la Russia. Certo che non possiamo isolarla. Ci serve il suo gas, ci serve il suo appoggio nella crisi iraniana, ci serve che essa svolga un ruolo internazionale di cooperazione. Ma non possiamo permettere che essa usi il bastone e la carota con noi senza fare la stessa cosa nei suoi confronti.
Non possiamo dimenticare che la Russia è un regime semi-autoritario che usa da tempo politicamente, nella sua politica estera, le risorse del suo capitalismo di Stato e oggi, di nuovo, anche le sue risorse militari. Non possiamo dimenticare che la sua involuzione autoritaria (alimentata dalle «utili guerricciole » su cui ha scritto acutamente Sandro Viola qualche giorno fa) è la prima causa del suo risorgente imperialismo e che non si possono intrattenere con una democrazia autoritaria le stesse relazioni di fiducia reciproca che esistono fra democrazie liberali. E’ dall’involuzione interna della Russia che, prima di tutto, nasce (rinasce) la sua minaccia verso l’esterno (lo ha ricordato Filippo Andreatta sul Corriere di ieri). Dobbiamo tener conto delle «ragioni» della Russia ma non al punto di andare contro i nostri interessi vitali (per esempio, l’interesse a forniture di idrocarburi dal Caucaso non interamente monopolizzate dai russi o l’interesse a farci carico dei problemi di sicurezza di tutti i membri dell’Unione, presenti e futuri). Né possiamo dimostrare disinteresse, o peggio, per l’aspirazione alla libertà dei cittadini delle ex colonie russe. I russi sperano che l’Europa proceda sul cammino iniziato, che essa, prima o poi, porti a compimento il decoupling, lo sganciamento dagli Stati Uniti. Ai prepotenti piace avere a che fare con i profeti disarmati.