NEUROPRISON

Italian blood, Il cinema horror italico

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view post Posted on 26/6/2015, 20:51

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... e perchè c'ho troppo tempo libero, ho recuperato pure Paura nella città dei morti viventi

locandina

Fulci gira bene, benissimo, talmente bene che a volte si scorda che le belle inquadrature hanno bisogno di qualcosa da inquadrare per essere realmente convincenti :P
Sulle incongruenze e sulla frammentarietà della trama hanno già scritto in tanti, anche i più grandi estimatori del film, e c'è poco altro da aggiungere se non che possono al contempo essere considerate i più grandi difetti o la principale originalità dell'opera.
La pellicola è divenuta celebre per gli eccessi gore, realizzati (quasi) tutti magistralmente, anche se molto più impressionante delle frattaglie e dei vermi gettati in campo da Giannetto de Rossi è la descrizione fulciana di una società malata, che si merita l'apocalisse prossima ventura: contrariamente ad altri horror, l'elemento perturbante non spezza un equilibrio idilliaco, ma al contrario ne sembra la più logica conseguenza. Gli zombies del film, infatti, hanno caratteristiche diversissime dagli zombies "tradizionali", posseggono una nobiltà che invece a molti vivi è negata, e hanno anche un sorta di consistenza fantasmatica che li differenzia dalla bieca carnalità che caratterizza i viventi.
Ad un certo punto il film si impantana in scene che cozzano contro l'idea tradizionale di "progressione drammatica", ed è difficile non annoiarsi nei 15 minuti che preludono allo "scontro finale" (peraltro molto sottotono), nonostante una location resa splendidamente come i cunicoli sotterranei. Poi però arriva la zampata finale fulciana (che si dice gli sia stata suggerita da un collaboratore), la beffa conclusiva di un film di serieB che ha l'ambizione di ridisegnare le nostre strategie percettive durante la visione.
Paura nella città dei morti viventi è un capolavoro, è un film mediocre, è fuori di testa, è lucidissimo, è derivativo, è rivoluzionario. E' un rebus che ti ritrovi ad amare a tua insaputa.
Ma più di tutto, è la prova d'orchestra del definitivo E tu vivrai nel terrore, che amplificherà esponenzialmente le qualità del predecessore fino a portarle ad un punto di non ritorno.
 
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view post Posted on 14/2/2016, 11:42

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CITAZIONE (Edvard @ 5/4/2012, 16:31) 
CITAZIONE (Vortex Surfer @ 4/4/2012, 00:51) 
Lo penso anch'io, ancorchè L'Aldilà - E tu vivrai nel terrore...

visto Sette note in nero...ed in effetti è pure meglio, fantastica atmosfera e splendidi i primi piani della O'Neill.

L'ho rivisto anch'io ieri, ed è sempre un gran bel vedere.

Sette-Note-in-Nero-locandina

Fresca neosposa di un giovane rampollo della Toscana "bene", Virgina Ducci - che sin da bambina ha scoperto di avere doti extrasensoriali - durante un viaggio in macchina è preda di una confusa e sangunaria visione. Immaginate il suo sgomento quando scopre che alcune parti della sua visione sembrerebbero ambientate nella stanza di una villa di suo marito, e che effettivamente in un muro della villa si cela un cadavere. Come era preventivabile, i sospetti si concentrano subito sul marito di Virginia, e alla povera disgraziata non resta che imbastire un'indagine parallela per cercare di scoprire il vero colpevole e scagionare il suo coniuge.

La più celebre monografia realizzata su Fulci definisce l'autore un "terrorista dei generi", ed effettivamente una delle costanti del suo lavoro è stata quella di sabotare le convenzioni di genere dall'interno.
Sette note in nero fa un po' storia a sè però, perchè - almeno all'apparenza - rappresenta come pochi altri film una sorta di "summa" dell'italian thriller anni 70, conglobando in sè suggestioni tipiche degli esponenti maggiori del genere: l'ossessione sullo sguardo tanto cara a Dario Argento, il miscuglio tra giallo tradizionale e elementi soprannaturali, l'influenza hitchcockiana nella messa in scena e la particolare importanza rivestita dalla colonna sonora (tanto che è "musicale" anche il titolo).
Per concludere la parentesi thriller (l'anno successivo l'autore avrebbe intrapreso la via dell'horror cruento con il celebre Zombi 2), Fulci ne orchestra un omaggio che si propone di rispettarne le più note convenzioni, ricollegandosi apertamente all'Argento di Profondo rosso.
E ciò che rende Sette note in nero l'ultimo grande thriller italiano degli anni 70 è l'innegabile fatto che, in quanto a stile ed eleganza, Fulci sia probablmente l'unico in Italia in grado di rivaleggiare con i due pesi massimi Mario Bava e Dario Argento: una trama piuttosto curata (consideriamo anche che all'epoca il tema della precognizione era assai meno battuto) viene corroborata da una regia mirabile per capacità espressive. Basti considerare una delle prime scene, quella in cui Virginia ha le visioni mentre percorre in macchna una strada in cui si avvicendano varie piccole gallerie, per notare come l'impronta fulciana sia in grado di trasportarci dentro la mente della protagonista, di renderci vittima delle visioni al pari di Virginia: e queste sono le stimmate che distinguono un fuoriclasse da un buon regista.
Tutto il film in realtà non è che una sorta di manuale di suspence, retto in buona parte dalla magnetica e splendida attice protagonista, che Fulci valorizza attraverso primi piani che bucano lo schermo.
Le dosi di suspence e di angoscia sono elevatissime nonostante la quasi totale assenza di sangue sullo schermo, a dimostrazione che il "Re del Gore" sa anche giocare di sottrazione quando vuole; non mancano alcune incongruenze nella trama, ma sono ampiamente compensate dall'enorme mole di pregi presenti nell'opera, non ultimo un beffardo, poetico finale che cita nientepopòdimenochè Edgar Allan Poe.
 
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view post Posted on 14/2/2016, 19:12

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CITAZIONE (Tigersuit @ 1/9/2012, 10:12) 
Qualche topic fa si parlava di Lucio Fulci. Ho visto questo gioiellino:

jpg

Del 1969, il primo giallo diretto dal regista romano. Ho sempre pensato che Fulci abbia dato il meglio di sè nei thriller e questo bellissimo film ne è un'ulteriore conferma. Trama intricata e storia torbida e imprevedibile. Straconsigliato.

Visto che ero in ritmo, mi sono sparato anche questo.

Il dottor George Dumurrier - playboy un po' cialtrone che le prova tutte per non far fallire la sua clinica privata ma che, per questo e per altri motivi, fa molti meno sforzi per mantenere vivo il suo matrimonio con la malaticcia Susan - darebbe non si sa quanto per potere divorziare e coronare il suo sogno d'amore con l'amante, la fotografa Jane. L'occasione d'oro gli si presenta quando, morta improvvisamente la moglie, scopre non solo di essere libero di folleggiare con Jane, ma anche di essere beneficiario di una cospicua assicurazione stipulata dalla defunta. Solo che polizia e società di assicurazioni sono poco propense a credere che quello che è sucesso alla signora Dumurrier sia solo un incidente, e a rendere ulteriormente più ingarbugliata la situazione di George ci pensa la voluttuosa Monica, spogliarellista che assomiglia moltissimo alla povera Susan.

La prima incursione di Fulci al di fuori del comico e del musicarello è perfettamente inseribile nel filone giallo-rosa (scollacciato) che in quegli anni stava impazzando nelle sale grazie al successo delle pellicole di Mario Bava e (soprattutto) Umberto Lenzi.
Il sottinteso sessuale presente nel titolo, la composizione dell'immagine e l'estetica da fotoromanzo, le generose (per l'epoca) scene di nudo (in)volontariamente kitch: tutti questi elementi concorrono a corroborare l'affinità di Una sull'altra con le coeve opere di Lenzi, a far sembrare - nella prima parte della pellicola in particolare - il film una sorta di "Hitchcock dei poveri" e a farlo risultare piuttosto datato nelle tematiche e nelle provocazioni, nonostante un'innegabile cura tecnica e la capacità fulciana di valorizzare la bellezza femminile.
Da un certo punto in poi, però, la pellicola sembra cambiar pelle: ai numerosissimi primi piani ravvicinati e zoom si sostituiscono gradualmente grandangoli e split screen, gli ambienti iniziano ad essere più "ingombranti" rispetto ai personaggi, la (bellissima) colonna sonora jazz assume connotazioni inquietanti e la suspence - la grande assente della prima parte dell'opera - inizia a diventare soffocante (tanto che le scene nel braccio della morte risultano angoscianti ancora oggi).
Questo ribaltamento nobilita nettamente una pellicola che si presenta fin troppo sonnacchiosa per almeno 50 minuti di durata, e la rende non troppo distante, qualitativamente, dai celebri thriller a tinte forti che Fulci avrebbe realizzato negli anni 70.
Bravi gli attori, in particolare Marisa Mell e Elsa Martinelli, e classiche incongruenze cult che non possono che suscitare simpatia nello spettatore.
 
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view post Posted on 3/3/2016, 11:39

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Continua la mia maratona fulciana, e continuano le mie inutili elucubrazioni in merito.

locandina

Non si sevizia un paperino

[Versione uncut di 108']

In breve: un capolavoro, il mio film preferito di Fulci.

Non in breve, ma in spoiler:

Accendura, piccolo paesino del Sud Italia, è teatro di una serie di omicidi di bambini. La polizia (e il giornalista Andrea Martelli) avranno un gran daffare a trovare il colpevole tra i vari sospettati (tra i quali lo scemo del villaggio, la "maciara" e una giovane ricchissima da poco stabilitasi nel paesino) e a tenere a bada una popolazione che ha sete di vendetta.

Il "Giallo" - termine con il quale, in ambito anglofono, si designa genericamente il thriller italiano degli anni 60 e 70 - ha degli elementi costitutivi che lo differenziano da altri generi.
Iniziando la visione di Non si sevizia un paperino, il dubbio di stare assistendo a qualcosa che non possa essere semplicemente inserito nel filone Giallo si insinua sin da subito, troppi gli elementi incongrui.
Dopo un incipit vagamente felliniano, siamo gettati in un contesto molto più simile a quello di un documentario etnografico, con il regista che, oltre che sulle indagini, si concentra sulla descrizione della gente di Accendura, dei suoi rituali, dei suoi modi di pensare, delle superstizioni radicate da secoli. Soprattutto fa un quadro di un contesto nel quale è la diversità a determinare automaticamente il sospetto della popolazione: il colpevole non può che essere uno scemo, o una donna "impura" che fa le fatture magiche, o una spregiudicata donna di città, libera e emancipata.
L'occhio di Fulci è molto più vicino a quello di un Pasolini, di un Petri, di un Francesco Rosi nel rappresentare una comunità che "coesiste" col progresso ma nel quale si rintracciano pregiudizi e credenze ataviche, nella quale ogni parvenza di "civiltà" soccombe di fronte al profluvio di insane passioni scatenate da eventi traumatici.
Se il Giallo è caratterizzato da un'ambientazione urbana e upper class (a partire da Bava e Argento, che situavano le loro storie nell'ambiente della moda o dell'arte, come faceva del resto lo stesso Fulci nel precedente Una lucertola con la pelle di donna), Fulci lo innesta nella retriva provincia rurale, e la stessa trama mystery ricorda non a caso più Leonardo Sciascia che Dashiell Hammett o qualsiasi altro scrittore noir.
Molto si è discusso e si potrebbe discutere sulla coraggiosissima scelta - per l'epoca, ma anche oggi effettivamente... - dell'identità dell'assassino, peraltro perfettamente coerente con il malsano clima che si respira ad Accendura: nessuno è innocente, sin da piccoli gli abitanti sono abituati a sbirciare le prostitute, a tirare sassi alle lucertole (autocitazione fulciana?) e a prendere in giro lo scemo del villaggio.
Registicamente e visivamente Fulci in Non si sevizia un paperino si supera, regalando alcune scene di un'intensità parossistica, la più famosa e giustamente celebrata delle quali è quella dell'uccisione della maciara sulle note di Quei giorni insieme a te cantata da Ornella Vanoni, e il cast è perfetto per autenticità e compattezza.
Il tutto concorre non solo a fare di Non si sevizia un paperino uno dei capolavori del regista, ma del cinema italiano tutto, degno di essere affiancato alle opere maggiori di registi "seri" quali i già citati Fellini, Rosi, Petri: Non si sevizia un paperino è un Giallo così come Arancia meccanica è un film di fantascienza, e scusate se è poco.


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Zombi 2

In breve: influentissimo e geniale, ma a mio parere non un capolavoro.

Non in breve, ma in spoiler:

Un battello apparentemente deserto vicino a Coney Island viene abbordato dalla guardia costiera, che constata con sgomento la presenza a bordo soltanto di uno strano tizio caracollante e insanguinato. Interrogata dalla polizia, la figlia del proprietario della barca intende vederci chiaro, e con l'aiuto di uno scafato giornalista si reca nell'isoletta tropicale nella quale il padre stava facendo le sue ricerche prima di far perdere ogni traccia di sè.

I produttori, per sfruttare il successo di Zombi di Romero (e Dario Argento), pescano una sceneggiatura di Dardano Sacchetti ed Elisa Briganti e, non senza perplessità, affidano la regia a Fulci, che godeva di profondo rispetto nell'ambiente ma non si era mai cimentato con l'horror puro.
Da subito la scelta si rivela azzeccatissima: Fulci possiede un'eleganza che la stragrande maggioranza dei registi horror si può solo sognare e gli effetti speciali di Giannetto De Rossi faranno epoca, con la rappresentazione "realistica" di zombi putrefatti, marci, pieni di vermi e trasudanti liquidi organici.
Il montaggio adrenalinico non riesce a dare ritmo alle scene di raccordo, che tendono ad anestetizzare la tensione presente nel film, e l'approssimativa recitazione degli interpreti non aiuta, ma diverse scene meritano di entrare di diritto tra le più efficaci e creative del genere zombistico: l'inizo in media res (anche questo sulla scia di Zombi); il menage a trois tra una avvenente subacquea seminuda, uno squalo e uno zombi; l'impressionantissima uccisione di Olga Karlatos; l'emersione degli zombi dalla terra; la fiammeggiante battaglia dentro la chiesa; l'apocalittico finale.
Col senno di poi, Zombi 2 è sicuramente film importante e influentissimo, ma non è poi così imperdibile come molti appassionati vorrebbero far credere.
Il meglio in ambito horror puro per Fulci doveva ancora venire.


etu-vivrai

...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà

[Versione integrale di 87']

In breve: un film imperfetto, a tratti soporifero, ma unico nel suo genere. Probabilmente uno dei 3-4 film per cui Fucli verrà ricordato anche fra molti anni.

Non in breve, ma in spoiler:

Un alberghetto della Lousiana, nel 1937, è teatro di un linciaggio, da parte della popolazione locale, di un tizio accusato di essere uno stregone. I locali non ci vanno leggeri: prima lo prendono a sprangate, poi lo crocifiggono e, per non farsi mancare niente, gli gettano acido sulla faccia.
Più di 50 anni dopo Liza Merril, che ha ricevuto l'albergo in eredità, decide di ristrutturarlo, ma i lavori sembrano scatenare una forza che era rimasta sopita per molto tempo.

Difficile parlare di un film come ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà, che per sua natura ha attirato e continuerà ad attirare le reazioni più disparate, dall'amore imperituro al disprezzo senza ritegno.
Per la grande maggioranza dei fan dell'horror rimane uno dei capisaldi di un modo libero, viscerale, onirico di approcciarsi al fantastico, un delirio surreale nel quale il tessuto narrativo viene costantemente sfregiato da vere e proprie aggressioni sensoriali.
La trama segue percorsi che non rispondono ad alcuna logica razionale, ma che ricalcano la struttura degli incubi infantili, fatti di mostri, di iridi perlate, di anfratti allagati, di violenza al rallentatore dalla quale non si può distogliere lo sguardo. Scena per scena, ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà è un susseguirsi di brutalità stomachevoli, corredate da un uso del sonoro sperimentale e disturbante: sussurri, cantilene, cigolii, stridii, cacofonie, scricchiolii e dissonanze hanno una consistenza quasi tattile, urticante.
Il tentativo fulciano di sabotare ogni coordinata spazio-temporale, già inaugurato con Paura nella città dei morti viventi (anche se, a dirla tutta, in modo meno traumatico era presente anche in Sette note in nero), giunge a pieno compimento, tanto che è proprio questa ostinata coerenza nel volere destabilizzare costantemente la percezione dello spettatore a generare i più evidenti difetti del film, in primis una completa assenza di ritmo che rende la visione piuttosto faticosa. Quando però, arrivati alla fine della vicenda, ci si sente estenuati per le efferatezze (e le infinite pistolettate a vanvera di David Warbeck), Fulci ti piazza un finale di autentica poesia visuale, degna del migliore Mario Bava.
Del già citato Paura nella città dei morti viventi questo ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà è la naturale continuazione, dato che sostanzialmente trattano dello stesso tema (l'apocalisse incombente) da una differente angolazione, ma si ricollega apertamente anche all'Argento della fase più onirica (Suspiria-Inferno).
Cinema della crudeltà all'ennesima potenza - tanto da potere essere definito senza grossi tentennamenti il film più cruento in assoluto della carriera di Fulci - ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà è stato per molto tempo censurato e osteggiato in gran parte del mondo, e questo lo ha fatto diventare uno dei gioielli più preziosi del mercato sotterraneo messo su, nei primi anni 80, dagli amanti dell'horror estremo; la sua influenza è avvertibilissima sin da subito in ambito nazionale e internazionale, basti pensare al primo Sam Raimi e a John Carpenter (che ne Il Signore del male riproporrà - in maniera più matura e filosofica, almeno dal punto di vista narrativo - molti spunti del film fulciano), ed ancora oggi una schiera di cineasti lo venera come esempio insuperato di "poesia del sangue".
 
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123 replies since 19/7/2011, 21:28   2576 views
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