| Continua la mia maratona fulciana, e continuano le mie inutili elucubrazioni in merito. Non si sevizia un paperino[Versione uncut di 108'] In breve: un capolavoro, il mio film preferito di Fulci. Non in breve, ma in spoiler: Accendura, piccolo paesino del Sud Italia, è teatro di una serie di omicidi di bambini. La polizia (e il giornalista Andrea Martelli) avranno un gran daffare a trovare il colpevole tra i vari sospettati (tra i quali lo scemo del villaggio, la "maciara" e una giovane ricchissima da poco stabilitasi nel paesino) e a tenere a bada una popolazione che ha sete di vendetta.
Il "Giallo" - termine con il quale, in ambito anglofono, si designa genericamente il thriller italiano degli anni 60 e 70 - ha degli elementi costitutivi che lo differenziano da altri generi. Iniziando la visione di Non si sevizia un paperino, il dubbio di stare assistendo a qualcosa che non possa essere semplicemente inserito nel filone Giallo si insinua sin da subito, troppi gli elementi incongrui. Dopo un incipit vagamente felliniano, siamo gettati in un contesto molto più simile a quello di un documentario etnografico, con il regista che, oltre che sulle indagini, si concentra sulla descrizione della gente di Accendura, dei suoi rituali, dei suoi modi di pensare, delle superstizioni radicate da secoli. Soprattutto fa un quadro di un contesto nel quale è la diversità a determinare automaticamente il sospetto della popolazione: il colpevole non può che essere uno scemo, o una donna "impura" che fa le fatture magiche, o una spregiudicata donna di città, libera e emancipata. L'occhio di Fulci è molto più vicino a quello di un Pasolini, di un Petri, di un Francesco Rosi nel rappresentare una comunità che "coesiste" col progresso ma nel quale si rintracciano pregiudizi e credenze ataviche, nella quale ogni parvenza di "civiltà" soccombe di fronte al profluvio di insane passioni scatenate da eventi traumatici. Se il Giallo è caratterizzato da un'ambientazione urbana e upper class (a partire da Bava e Argento, che situavano le loro storie nell'ambiente della moda o dell'arte, come faceva del resto lo stesso Fulci nel precedente Una lucertola con la pelle di donna), Fulci lo innesta nella retriva provincia rurale, e la stessa trama mystery ricorda non a caso più Leonardo Sciascia che Dashiell Hammett o qualsiasi altro scrittore noir. Molto si è discusso e si potrebbe discutere sulla coraggiosissima scelta - per l'epoca, ma anche oggi effettivamente... - dell'identità dell'assassino, peraltro perfettamente coerente con il malsano clima che si respira ad Accendura: nessuno è innocente, sin da piccoli gli abitanti sono abituati a sbirciare le prostitute, a tirare sassi alle lucertole (autocitazione fulciana?) e a prendere in giro lo scemo del villaggio. Registicamente e visivamente Fulci in Non si sevizia un paperino si supera, regalando alcune scene di un'intensità parossistica, la più famosa e giustamente celebrata delle quali è quella dell'uccisione della maciara sulle note di Quei giorni insieme a te cantata da Ornella Vanoni, e il cast è perfetto per autenticità e compattezza. Il tutto concorre non solo a fare di Non si sevizia un paperino uno dei capolavori del regista, ma del cinema italiano tutto, degno di essere affiancato alle opere maggiori di registi "seri" quali i già citati Fellini, Rosi, Petri: Non si sevizia un paperino è un Giallo così come Arancia meccanica è un film di fantascienza, e scusate se è poco. Zombi 2In breve: influentissimo e geniale, ma a mio parere non un capolavoro. Non in breve, ma in spoiler: Un battello apparentemente deserto vicino a Coney Island viene abbordato dalla guardia costiera, che constata con sgomento la presenza a bordo soltanto di uno strano tizio caracollante e insanguinato. Interrogata dalla polizia, la figlia del proprietario della barca intende vederci chiaro, e con l'aiuto di uno scafato giornalista si reca nell'isoletta tropicale nella quale il padre stava facendo le sue ricerche prima di far perdere ogni traccia di sè.
I produttori, per sfruttare il successo di Zombi di Romero (e Dario Argento), pescano una sceneggiatura di Dardano Sacchetti ed Elisa Briganti e, non senza perplessità, affidano la regia a Fulci, che godeva di profondo rispetto nell'ambiente ma non si era mai cimentato con l'horror puro. Da subito la scelta si rivela azzeccatissima: Fulci possiede un'eleganza che la stragrande maggioranza dei registi horror si può solo sognare e gli effetti speciali di Giannetto De Rossi faranno epoca, con la rappresentazione "realistica" di zombi putrefatti, marci, pieni di vermi e trasudanti liquidi organici. Il montaggio adrenalinico non riesce a dare ritmo alle scene di raccordo, che tendono ad anestetizzare la tensione presente nel film, e l'approssimativa recitazione degli interpreti non aiuta, ma diverse scene meritano di entrare di diritto tra le più efficaci e creative del genere zombistico: l'inizo in media res (anche questo sulla scia di Zombi); il menage a trois tra una avvenente subacquea seminuda, uno squalo e uno zombi; l'impressionantissima uccisione di Olga Karlatos; l'emersione degli zombi dalla terra; la fiammeggiante battaglia dentro la chiesa; l'apocalittico finale. Col senno di poi, Zombi 2 è sicuramente film importante e influentissimo, ma non è poi così imperdibile come molti appassionati vorrebbero far credere. Il meglio in ambito horror puro per Fulci doveva ancora venire. ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà[Versione integrale di 87'] In breve: un film imperfetto, a tratti soporifero, ma unico nel suo genere. Probabilmente uno dei 3-4 film per cui Fucli verrà ricordato anche fra molti anni. Non in breve, ma in spoiler: Un alberghetto della Lousiana, nel 1937, è teatro di un linciaggio, da parte della popolazione locale, di un tizio accusato di essere uno stregone. I locali non ci vanno leggeri: prima lo prendono a sprangate, poi lo crocifiggono e, per non farsi mancare niente, gli gettano acido sulla faccia. Più di 50 anni dopo Liza Merril, che ha ricevuto l'albergo in eredità, decide di ristrutturarlo, ma i lavori sembrano scatenare una forza che era rimasta sopita per molto tempo.
Difficile parlare di un film come ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà, che per sua natura ha attirato e continuerà ad attirare le reazioni più disparate, dall'amore imperituro al disprezzo senza ritegno. Per la grande maggioranza dei fan dell'horror rimane uno dei capisaldi di un modo libero, viscerale, onirico di approcciarsi al fantastico, un delirio surreale nel quale il tessuto narrativo viene costantemente sfregiato da vere e proprie aggressioni sensoriali. La trama segue percorsi che non rispondono ad alcuna logica razionale, ma che ricalcano la struttura degli incubi infantili, fatti di mostri, di iridi perlate, di anfratti allagati, di violenza al rallentatore dalla quale non si può distogliere lo sguardo. Scena per scena, ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà è un susseguirsi di brutalità stomachevoli, corredate da un uso del sonoro sperimentale e disturbante: sussurri, cantilene, cigolii, stridii, cacofonie, scricchiolii e dissonanze hanno una consistenza quasi tattile, urticante. Il tentativo fulciano di sabotare ogni coordinata spazio-temporale, già inaugurato con Paura nella città dei morti viventi (anche se, a dirla tutta, in modo meno traumatico era presente anche in Sette note in nero), giunge a pieno compimento, tanto che è proprio questa ostinata coerenza nel volere destabilizzare costantemente la percezione dello spettatore a generare i più evidenti difetti del film, in primis una completa assenza di ritmo che rende la visione piuttosto faticosa. Quando però, arrivati alla fine della vicenda, ci si sente estenuati per le efferatezze (e le infinite pistolettate a vanvera di David Warbeck), Fulci ti piazza un finale di autentica poesia visuale, degna del migliore Mario Bava. Del già citato Paura nella città dei morti viventi questo ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà è la naturale continuazione, dato che sostanzialmente trattano dello stesso tema (l'apocalisse incombente) da una differente angolazione, ma si ricollega apertamente anche all'Argento della fase più onirica (Suspiria-Inferno). Cinema della crudeltà all'ennesima potenza - tanto da potere essere definito senza grossi tentennamenti il film più cruento in assoluto della carriera di Fulci - ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà è stato per molto tempo censurato e osteggiato in gran parte del mondo, e questo lo ha fatto diventare uno dei gioielli più preziosi del mercato sotterraneo messo su, nei primi anni 80, dagli amanti dell'horror estremo; la sua influenza è avvertibilissima sin da subito in ambito nazionale e internazionale, basti pensare al primo Sam Raimi e a John Carpenter (che ne Il Signore del male riproporrà - in maniera più matura e filosofica, almeno dal punto di vista narrativo - molti spunti del film fulciano), ed ancora oggi una schiera di cineasti lo venera come esempio insuperato di "poesia del sangue".
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