Eredità di un'eredità. Così si possono presentare i cinque di Daytona Beach, Florida.
Una terra che elude sicuramente da quella visione di psichedelia quale può essere la cornice della costa ovest degli USA, che ha regalato i Natali ai Neurosis, ma del resto, poco c'entra visto che poi Isis (Boston) o i Pelican (Chicago) le visioni oniriche, i paesaggi dell'anima gli hanno portati direttamente nella loro musica. E i TOSOTS fanno ugualmente. Cresciuti con le band sopracitate, arrivando fino alle fredde lande scozzesi dei Mogwai, hanno saputo imbastire nel giro di poco tempo una ricca tavola dalla quale ingozzarsi di suoni.
Suonano grezzi, quasi primitivi, nel loro sound si sente una componente psichedelica differente, quasi primigenia, fatta di pochi e sporchi accordi strumentali, all'occasione.
E un monicker che pesca dai racconti di Clarke, quindi fantascienza, spazio, vuoto.
Un esordio acerbo e arcaico, semplice e tripposo come
Heritage (2004) [ristampato nel 2006] lasciava sperare in un bel seguito, perchè allo sludgiano sottofondo sonoro riuscirono ad accompagnare un gusto per le melodie "sporadiche" finissimo, che rimaneva impresso al primo ascolto, mentre lentamente si avvicendavano dei viaggi come
Waking Nightmare,
Snake Eyes,
Life Lessons.
Non paghi di ciò, dopo aver girovagato negli States per più di un anno e mezzo, a cavallo tra il 2005 e il 2006 si rintanano nuovamente nello studio, soli, per meglio focalizzare le loro caratteristiche ed è così che salta fuori una bomba:
RorschachUn album che scorre via lento e ipnotico, come un'improbile jam session tra i Pelican di Australasia e i Neurosis post-Silver. Partendo dai primi, riescono a rivisitarli in maniera stupefacente, ma donando ai componimenti un alone meno heavy e un approccio ancora più progressivo se vogliamo, come ben si può sentire dall'attacco soft di No Compromise, ma i riff pesanti non tardano ad arrivare e il loro gusto è tipicamente legato al panorama doom/sludge, mentre sopra essi si stagliano sognanti melodie. Ma sanno mostrare i denti, come nella titletrack, dove regna infernale il basso.
E non annoiano, per niente, considerato il minutaggio che in media raggiunge i sei minuti, e sei minuti ricchi di sfumature, che non annoiano mai e poi mai, melodie accativanti come in Times Square Spectre son l'emblema di ciò, introducendo ai supertripponi fumosi di
Street Hetics e
Harlem. Mentre spetta al duo
Reclutant Hero e soprattutto alla mestosa
Justice Is A Vagrant saldare il conto con gli ultimi Neurosis, rievocati nelle parti più di ambiente (e nelle vocals), mentre, ripeto, fanno capolino i Mogwai tra gli arpeggi più intimisti.
Nota importante, prodotto da Kurt Ballou dei Converge.
Una sorpresa sicuramente, e ora, che sono in fase di componimento per il nuovo album, non si può far altro che attendere il loro lancio.
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