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Panopticon, il carceriere invisibile

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view post Posted on 2/7/2008, 16:01
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Il carcere di Bentham

Nel 1791, l'utilitarista britannico Jeremy Bentham pubblicò un progetto di carcere modello, che battezzò col nome di Panopticon. Bentham immaginò un edificio semi-circolare, al cui centro era collocata la sede dei sorveglianti, mentre le celle si trovavano lungo la circonferenza e erano interamente esposte allo sguardo delle guardie; dei muri isolavano i prigionieri l'uno dall'altro, così da render loro impossibile vedersi e comunicare reciprocamente. La torre di sorveglianza, con un sistema di imposte, permetteva di vedere senza essere visti. In questa maniera, ciascun prigioniero - non potendo mai avere la certezza di non essere sorvegliato - si sarebbe sempre comportato con disciplina.
Come nota David Lyon, in questa parodia laica dell'onniscienza divina, l'invisibilità e la conoscenza - o lo sguardo - asimmetrici sono una garanzia di potere e di introiezione della sua volontà nei soggetti, che non possono mai sentirsi sicuri di essere soli, grazie all'ingegnosità strumentale del dispositivo di sorveglianza.

L'anello di Gige

Il progetto di Bentham ha uno scopo pedagogico e correzionale, e ci chiede di assumere il punto di vista del potere istituzionale, allo scopo di:

punishing the incorrigible, guarding the insane, reforming the vicious, confining the suspected, employing the idle, maintaining the helpless, curing the sick, instructing the willing in any branch of industry, or training the rising race in the path of education (Collected Works, ed John Bowring, London, 1843, p.40)

La storia di Gige, è narrata dal punto di vista di un invisibile: invisibilità controllata e asimmetrica significa - come per Bentham - potere. Ma questa invisibilità non è lo strumento di un potere assunto come istituzionale, benevolo e legittimo: essa stessa istituzionalizza e legittima un potere nato come trasgressivo. Fra carcerieri e carcerati non c'è nessuna differenza morale, ma soltanto una differenza "tecnica". Se l'unica garanzia di giustizia è la consapevolezza della sorveglianza, sottrarsi alla sorveglianza non significa semplicemente sottrarsi alla giustizia, ma mettersi in condizione di acquisire un potere incontrollato. Il Panopticon può essere pensato come l'esito istituzionale dell'anello di Gige.

Esteriorità e coscienza

Glaucone, quando chiede a Socrate di dimostrare perché dovremmo essere giusti quando non si è sotto lo sguardo di chi ci controlla, propone, a distanza di più di due millenni, una sfida anche per Bentham: chi ci assicura che l'occhio del carceriere invisibile sia paragonabile all'occhio di Dio, se la sorveglianza è la fonte esclusiva della giustizia?
Bentham e Gige rappresentano un soggetto che, quando è invisibile, è ingiusto, immorale e impolitico, e diventa giusto, morale e politico solo nella misura in cui è reso visibile. Il potere è il controllo della visibilità, e, in quanto tale, è un punto cieco fuori controllo.
Perfino coloro che vorrebbero regolare il potere limitandone la prospettiva e invocando una sfera "privata", nascosta al pubblico, accettano implicitamente la logica di Gige e di Bentham: siamo liberi dove e quando non siamo sorvegliati. Ma il nostro spazio "privato", in quanto si sottrae allo sguardo, si sottrae anche alla giustizia, se la giustizia è intesa come una funzione "di sorveglianza" esclusivamente pubblica. Viceversa, lo spazio pubblico è uno spazio di timore e di conformismo.

da QUI

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... da questo link

Sarà Michel Foucault a evidenziare la teatralità insita nel progetto, a cogliere l’elemento scenico di tante piccole gabbie in cui «ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile»: è quasi un’eco che da queste note ci rinvia alle gabbie del nostro oggi. Vedere senza interruzione, rovesciando due dei tre capisaldi su cui era organizzata l’antica "segreta": non si è più né nascosti né privi della luce. Resta il terzo: si è rinchiusi. E ciascuno, rinchiuso, è reso visibile al sorvegliante, non agli altri perché impedito da muri laterali, ed è la coscienza della propria visibilità ad assicurare il funzionamento del potere: una somma di individualità visibili a chi sorveglia, ma impossibilitate a costruire collettività e, quindi, atomizzate e continuamente de-individualizzate.

Questo mondo del continuo vedere può a sua volta essere visto? Qual è la sua possibilità di essere osservato dall’esterno la sua visibilità? E quali meccanismi induce nel suo funzionamento la percezione di essere a sua volta visto, controllato, guardato?
 
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view post Posted on 3/7/2008, 18:35

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CITAZIONE (Damar @ 2/7/2008, 17:01)
E ciascuno, rinchiuso, è reso visibile al sorvegliante, non agli altri perché impedito da muri laterali, ed è la coscienza della propria visibilità ad assicurare il funzionamento del potere: una somma di individualità visibili a chi sorveglia, ma impossibilitate a costruire collettività e, quindi, atomizzate e continuamente de-individualizzate.

Foucault :wub: ....

Bentham - come dice bene Damar - vede nel Panopticon un mezzo "pedagogico". Nel suo ottimismo proto-positivista infatti pensava che la costante "visibilità" avrebbe spinto ogni uomo a seguire una condotta etica.

Foucault riprende il Panopticon da una prospettiva diversa: è l'essere visti in maniera costante, ma con una sorta di intercambiabilità nelle funzioni di carceriere e carcerato; ovvero, siamo noi stessi nello stesso tempo carcerati e carcerieri, guardi e ladri, e tale ambiguità è il fondamento che i poteri forti edificano per evitare la costituzione di collettività.

Spostato al giorno d'oggi, la profeticità delle parole foucaultiane è sotto gli occhi di tutti.
Pensiamo all'ambito musicale. Una sorta di sovra-potere ha da sempre canalizzato le forme e gli artisti che più gli aggradavano, ha sempre cercato di imporre - tramite l'industria musicale e tutto ciò che ad essa ruota attorno (leggasi critica musiclae, giornali, etc.) - determinati gusti e determinati musicisti. Per questo l'avvento del peer to peer è stato un colpo gravissimo: perchè non solo è nuociuto economicamente all'industria stessa, ma perchè ha tolto ad essa il potere di imporci le sue scelte.
Teoricamente oggi più che mai saremmo liberi di scegliere veramente qualsiasi cosa da ascoltare, liberi di avere tutto e subito.
Ma a questo punto nascono blog e forum, fatti da normali ascoltatori, che - in gran parte involontariamente ed inconsapevolmente - suppliscono al "vuoto di potere" creato da internet in ambito di fruizione musicale. Con mezzi e finalità molto diverse, questo è ovvio, posti come la nostra neuroprigione in un certo senso si propongono di orientare i gusti degli altri. Siamo noi stessi, per certi versi, i carcerieri e i carcerati.
 
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abanoise
view post Posted on 3/7/2008, 23:52




Ma la cosa più terribile, in tutto ciò, è la vera pedagogia del Panopticon. Non solo il controllo e la correzione, ma, come per "Nascita della clinica", la strategia più forte è quella che mira alla formazione di uno sguardo. Pensare al potere come dispositivo puramente repressivo-costrittivo è una scelta perdente (da qui le critiche di Foucault a Marcuse). Il vero problema è la formazione della nostra soggettività già intrisa di assoggettamento, già piegata alle "regole del gioco".
Da qui l'importanza di formare lo sguardo del soggetto. E' in questo sguardo che agiscono i dispositivi, che si concretizzano le categorie e le cesure.
Il Panopticon come prigione resta (forse) un progetto utopico, ma la centralità del dispositivo dello sguardo si è estesa ad ogni strato del sistema.
Il merito di Foucault (sulla scorta di Bataille e in polemica con i fenomenologi e gli esistenzialisti) è stato quello di porre al centro dei suoi studi la formazione di questo sguardo: basta pensare all'importanza che ha avuto nell'ultimo periodo il discorso sulla formazione del soggetto.
Il merito di altri filosofi più recenti, come Nancy e Derrida, è stato quello di porre la questione di uno sguardo aptico, che si infranga nel toccare.

Edited by abanoise - 20/7/2009, 11:53
 
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Coldice
view post Posted on 4/7/2008, 12:28




Io penso che il panopticon socialmente sia tutt'altro che un utopia. Rileggendone la definizione e l'interpretazione di Foucault ho avuto l'impressione che chi ha bisogno di controllo si sia accorto dell'ambivalenza carcarato carceriere...e ci ha fornito per questo un Panopticon da osservare a nostra volta. Così controllando non abbiamo la minima impressione di essere controllati.
 
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abanoise
view post Posted on 4/7/2008, 12:58




Bhe, questo è un problema che risale all'antichità. già in periodo romano Giovenale scrisse "Quis custodiet ipsos custodes?", chi controlla i controllori... e il discorso si è sviluppato nel tempo (anche i discorsi sulla sovranità, sulla separazione dei poteri partono da qui).

Il problema serio per me è utopico, nel senso che è diffuso e impossibile da localizzare. Alla topia minacciosa, ma in qualche modo di una certezza rassicurante, dei luoghi di permanenza temporanea e di concentramento, si contrappone l'"utopia" (senza luogo, ma che ogni volta HA pericolosamente luogo) dei dispositivi dello sguardo, come forma di dominio. il predominio della visione, dello spettacolo, dell'immagine, solo per parlare dei fenomeni più studiati e riconosciuti. ma ci sarebbe ancora molto da dire!

Quanto poi tu parli del rapporto tra controllare e non sapere di essere controllati, il discorso si allarga più radicalmente a tutta la questione del soggetto, che proprio nel suo formarsi, nel suo darsi una identità individuale, non fa altro che cadere nelle trappole che portano al controllo. E, così facendo, entra a pieno titolo nel sistema.
 
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Coldice
view post Posted on 4/7/2008, 13:07




CITAZIONE (abanoise @ 4/7/2008, 13:58)
Quanto poi tu parli del rapporto tra controllare e non sapere di essere controllati, il discorso si allarga più radicalmente a tutta la questione del soggetto, che proprio nel suo formarsi, nel suo darsi una identità individuale, non fa altro che cadere nelle trappole che portano al controllo. E, così facendo, entra a pieno titolo nel sistema.

Dunque solo per il fatto di possedere un'autocoscienza il soggetto è suscettibile di controllo?

Semi OT: A proposito di chi-controlla-chi, recuperate il grandissimo Watchmen di Alan Moore, un capolavoro di fumetto proprio su quest'argomento (tutt'altro che economico però :D)
 
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abanoise
view post Posted on 4/7/2008, 13:16




Bhe, in parte sì. Ma la questione più importante è: e questa autocoscienza da dove ci arriva? Come si forma? un dono divino o un prodotto culturale? il risultato sempre in discussione dei rapporti tra forme di controllo e le resistenze del soggetto individuale?
E per spingerci più oltre, lo stesso soggetto, per il solo fatto di essere una produzione culturale, non è forse il terreno ideale di scontro di ogni relazione di potere? Non è forse già compromesso, fin dalla sua comparsa, in queste relazioni?
 
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view post Posted on 4/7/2008, 20:03

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Stimolante questa discussione.

Foucault fa parte di quella corrente di pensiero, il post-modernismo, che prende le mosse proprio dalla "crisi del soggetto", ovvero dalla messa in discussione del principio "soggettocentrico" che aveva caratterizzata tutte le forme filosofiche pre-Wittgenstein e pre-strutturalismo.
Il soggetto è un escamotage per ricondurre tutto ad una ragione, quella umana, considerata unificatrice e onnicomprensiva. Ma non tutto è spiegabile razionalmente, o meglio non tutto è riconducibile alla capacità del soggetto di categorizzarla: l'inconscio è il più classico esempio di come una razionalità soggettocentrica sia di per sè impossibile, così come la fisica quantistica.

L'autocoscienza è una creazione occidentale e soggetto-centrica; non è un caso se quella che fino a qualche tempo fa era definita la "mentalità primitiva" non presuppone un'autocoscienza individuale, ma casomai un'autocoscienza comunitaria, una visione più "panteistica" della coscienza. Porre l'autocoscienza come principio fondamentale (e quì quello che più chiaramente ha fatto questa operazione è stato Cartesio, seppure con illustri predecessori, non ultimi i principali teologi medievali) significa mettere in secondo piano tutti i condizionamenti che essa subisce dall'ambito sociale, dal potere.
La nostra autocoscienza, il nostro "sguardo" non vede la realtà, ma la vede filtrata da tutti i condizionamenti che il potere ci ha instillato. Potere che, in senso foucaultiano, non è un potere verticistico e "dall'alto" (come in Marx, ad esempio), ma è l'insieme delle dinamiche di potere che ci caratterizzano tutti nelle varie relazioni che instauriamo nella nostra vita.

OT: Splendido Watchmen! :woot: Io ho avuto il culo di recuperarlo quando lo davano allegato al giornale Repubblica ;)
 
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Coldice
view post Posted on 4/7/2008, 23:34




CITAZIONE (Vortex Surfer @ 4/7/2008, 21:03)
OT: Splendido Watchmen! :woot: Io ho avuto il culo di recuperarlo quando lo davano allegato al giornale Repubblica ;)

SPOILER (click to view)
Li stramortacci di @#ç§! Nuovo costa uno sfascio!


L'autocoscienza è un prodotto divino, i filtri uno culturale:D

A parte questa sentenza alla coldice mi sembra un sofisma considerare il soggetto un puro prodotto culturale: magari non è il nome adatto e neanche la definizione che diamo a "soggetto" rende i suoi infiniti significati, ma considerare l'individualità una pura rappresentazione umana svuoterebbe lentamente ogni cosa del suo significato, porterebbe al nichilismo assoluto, se consideriamo il soggetto-io come funzione precongnitiva, cioè che precede e che permette la conoscenza.

E contiuando a considerarlo un puro prodotto culturale sarebbe una lucertola che si morde la coda: un potere che controlla se stesso, perchè se l'io è solo una rappresentazione sarebbe schiavo di ogni altra rappresentazione, potere compreso! Dunque nessuno sarebbe in grado di "divergere" dal controllo e dal potere.

...che trip! :woot:

Io credo che la libertà di scelta sia una condizione d'esistenza, ma è interessante (quanto pessimista) anche quest'altra visione.

Spero di essere stato chiaro e di non aver frainteso nulla.
 
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view post Posted on 5/7/2008, 12:09

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Quando una sceltà è assolutamente legata alla propria coscienza? E' possibile dire che le scelte che noi prendiamo siano riferibili alla nostra specifica individualità e che non siano condizionate da elementi al di fuori della nostra coscienza (il giudizio degli altri, l'opportunità o meno, etc.)?

E ancora, cos'è l'autocoscienza? Se è la percezione che abbiamo di noi stessi, quanto di essa è influenzato dalla percezione che gli altri hanno di noi? Quanto dalle aspettative che famiglia, amici, scuola, società hanno nei nostri confronti?
E' un problema mica da poco....
 
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abanoise
view post Posted on 5/7/2008, 13:18





CITAZIONE (Vortex Surfer @ 5/7/2008, 13:09)
Quando una sceltà è assolutamente legata alla propria coscienza? E' possibile dire che le scelte che noi prendiamo siano riferibili alla nostra specifica individualità e che non siano condizionate ... ?

Come ho scritto prima, pensia al Foucault di "L'uso dei piaceri" e "La questione del soggetto": non conta sapere se siamo condizionati nelle nostre scelte o se siamo liberi nella nostra individualità, perchè è la stessa individualità che è plasmata docilmente nelle stesse relazioni di potere. L'individo è compromesso già dalla sua comparsa. Lo stesso concetto di libera scelta, come quello di volontà, è solo una stategia di soggettivazione/assoggettamento.
Tutto il filo di "L'uso dei piaceri" segue il problema per cui l'uomo che vuole darsi un'identità deve essere padrone di se stesso, chiuso nella sua coerenza.

Foucault non ha mai chiarito i modi con cui opporsi a questi meccanismi. Dubito che ce ne siano, facilmente ricadrebbero in una semplice opposizione dialettica.

Una cosa però è certa: vi è sempre un resto, uno scarto, che spinge questi dispositivi a riformarsi, a seguire nuove strade. Bisognerebbe allora "sentire" il punto di cedimento di tutti questi discorsi.
In "Poteri e strategie" Foucault ci lascia due vie di fuga. La prima, il discorso sulla plebe, che non esiste, ma che c'è, si dà improvvisamente, senza poter essere inquadrata e ripresa (credo che da qui partano le recenti ricerche sull'"impersonale"). La seconda, relativa all'esistenza: Foucault dice che è l'esistenza stessa, e null'altro, la vera radicalità. La radicalità non è questione di prendere una posizione, di avere un'identità. Anzi, (forse) è preoprio questo che ci porta a perderla.


 
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view post Posted on 6/7/2008, 09:50

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Mio dio, mi spingi a ripassare il buon Michel. :D

Rispetto a quanto detto negli ultimi suoi scritti, mi piace di più quello che Foucault dice a proposito della soggettività in Le parole e le cose. In esso dice che ciò che dell'uomo è realmente rilevante - in una prospettiva storica, e quindi esistenziale - è da una parte la sua mera corporeità (e qui si ricollega a Feuerbach: "Noi siamo quello che mangiamo. La nostra stessa conoscenza, il nostro carattere, le nostre modalità di relazione dipendono da quanto e come mangiamo"), dall'altra i cosiddetti "saperi assoggettati", ovvero quei saperi che sono sempre stati tralasciati dalla scienza positivista.

La grandezza di (del primo) Foucalut sta nell'esser riuscito a coniugare la spinta anti-soggettivistica dello strutturalismo con un esistenzialismo ricollegabile a NIetzsche, Heidegger e Sartre.

Ma non vorrei che questa si trasformasse in una boriosa discussione simil-accaddemica. Piuttosto, potremmo continuare incentrandoci sul tema
"Quanto siamo liberi? Siamo veramente liberi?"
In realtà il panopticon è uno strumento di controllo, ed è assimilabile a molti strumenti di controllo che esistono nella nostra società.
 
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abanoise
view post Posted on 6/7/2008, 10:58




Un consiglio a tutti: leggete il breve saggio di Agamben "Che cos'è un dispositivo?", edito da Nottetempo. E' una delle possibili risposte al problema della libertà.
 
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Coldice
view post Posted on 7/7/2008, 11:11




Spesso per accorgermi quanto sono libero devo trovarmi in una circostanza in cui osservare i fatti dall'alto. Può succedere, può non succedere, ma è in queste situazioni particolari che riesco a giudicare quanto ho agito liberamente, quanto spontaneamente.

Forse è proprio la capacità di vivere questi momenti che rende un uomo più libero di un altro.

(e, si, per me la libertà è uno stato mentale che si può raggiungere anche in una cella di 2 metri x 2)
 
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abanoise
view post Posted on 20/7/2009, 10:59




Due professori di Verona, Panattoni e Solla, hanno dedicato uno scritto all'artista italiano Andrea Nacciarriti. Lo scritto si apre sul concetto di panopticon, legato alla ricerca dell'artista, per poi spaziare sulla questione più generale dei dispositivi (di corpi e di sguardi).
Lo trovate qui: Lo sguardo dispositivo dell'arte
 
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14 replies since 2/7/2008, 16:01   482 views
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