| Edvard |
| | CITAZIONE Nato nel 1956, Lars Von Trier, all'anagrafe Lars Trier (il "von", infatti, è stato aggiunto da lui stesso per puro spirito di provocazione) realizza i suoi primi cortometraggi tra il 1967 e il 1971 grazie ad una super8 regalatagli da sua madre. Dal 1974 studia presso Scuola nazionale di cinema di Danimarca. Sono di questi anni "Nocturne", "The last detail" e "Befrielsesbilleder". Gira circa 40 spot pubblicitari prima del suo debutto internazionale con il lungometraggio L'elemento del crimine dell'1984 che vince numerosi premi: a Cannes e a Chicago. Nel 1987 il suo Epidemic ha una buona accoglienza a Cannes. Nel 1988 Von Trier dirige Medea (su una sceneggiatura di Carl Dryer) per la televisione che gli fa ottenere il premio Jean d'Arcy. Ma è nel 1991 che, grazie al film Europa, premiato a Cannes con il Premio speciale della giuria, a Stoccolma, a Puerto Rico e in Belgio, viene consacrato agli occhi di pubblico e critica. Nel 1995, Il Regno - The Kingdom, una serie-tv, ottiene un grandissimo successo. Con Le onde del destino (1996) Lars Von Trier sembra arrivato a realizzare il suo film più personale ed ancora una volta entra nel palmarès di Cannes vincendo il Premio speciale della giuria. Nel 1997 presenta al Festival di Venezia Il Regno 2 e nell'anno successivo è di nuovo a Cannes con Idioti, secondo film del Dogma 95. Nel 2000 firma a otto mani D-Day e vince la Palma d'Oro per il miglior film e la migliore attrice (Bjork) con Dancer in the Dark. Nel 2003 presenta a Cannes Dogville (primo lungometraggio della trilogia "Usa - Land of oppurtunities" che il regista danese ha voluto "dedicare" all'America più marcia e oscura) e, nello stesso anno, a Venezia il discusso documentario Le cinque variazioni. Dopo il docu-film, il regista torna alla sua personalissima trilogia americana con il sequel di "Dogville": Manderlay (2005). "Il grande capo" (2006) - la commedia satirica sul mondo del lavoro di oggi, è il suo ultimo film. MANIFESTO: DOGMA 95 Dogma 95 è un collettivo di registi fondato a Copenaghen nella primavera del 1995. Il suo scopo preciso è opporsi a certe derive del cinema contemporaneo. Dogma 95 è un'azione di salvataggio! Nel 1960 si è raggiunto il limite! Il cinema era morto e bisognava farlo resuscitare. La Nouvelle Vague, attraverso slogan di individualismo e libertà, ha prodotto certi lavori. Ma il cinema antiborghese è diventato borghese, perchè si fondava sulla percezione borghese dell'arte. Il concetto di autore era una versione borghese del romanticismo e, in quanto tale, falso! Agli occhi di DOGMA 95, il cinema non è individualista! Oggi la tempesta tecnologica imperversa e il risultato sarà la democratizzazione definitiva del cinema. Per la prima volta, chiunque può fare un film. Ma più i media diventano accessibili, più si fa importante l'avanguardia. E non è un caso che la parola avanguardia abbia una connotazione paramilitare. Perchè la risposta è la disciplina... Dobbiamo fare dei film in uniforme, perchè il film individualista è decadente per definizione! DOGMA 95 si contrappone al cinema individualista con una serie di regole definite VOTO DI CASTITÀ. Nel 1960 si è raggiunto il limite! Si diceva che il cinema fosse divorato dall'artificio, ma in seguito all'utilizzo di questi artifici si è moltiplicato. L' "obiettivo supremo" dei cineasti decadenti è ingannare il pubblico. Dobbiamo esserne fieri? È tutto quello che abbiamo messo da parte in questi cento anni di cinema? Illusioni con cui comunicare emozioni? Grazie all'inganno di un artista isolato? La prevedibilità (la drammaturgia) è il vitello d'oro attorno cui danziamo. Giustificare l'azione attraverso la vita interiore dei personaggi sembra molto complicato e non è "arte alta". Mai come oggi l'azione superficiale e i film superficiali hanno ricevuto tanti elogi. Il risultato è sterile, un'illusione di pathos e di amore. Per DOGMA 95 il cinema non è illusione! Ai giorni nostri imperversa la tempesta tecnologica: l'artificio è elevato al rango di divinità. Ricorrendo alla nuova tecnologia chiunque, in qualunque momento, può spazzare via gli ultimi sussulti di verità nella stretta soffocante della spettacolarità. Le illusioni sono ciò dietro cui il cinema si può nascondere. DOGMA 95 combatte il cinema delle illusioni con una serie di regole indiscutibili note con il nome VOTO DI CASTITÀ.
Il voto di castità Io giuro di sottomettermi al seguente corpo di regole delineate e confermate da DOGMA 95:
1. Le riprese devono aver luogo in esterni. Non devono essere utilizzati scenografie e set (se è necessario per la storia un particolare elemento scenografico, si deve scegliere una location in cui è già presente quel’elemento).
2. Il suono non deve mai essere prodotto separatamente dalle immagini e viceversa (la musica non deve essere usata a meno che non si senta nell’ambiente in cui si svolge il film).
3. La macchina da presa deve essere a mano. Sono concessi tutti i movimenti (e l’immobilità) che si può ottenere a mano (il film non deve svolgersi dove è piazzata la cinepresa; sono le riprese che devono avere luogo dove si svolge il film).
4. Il film deve essere a colori. Non sono concesse illuminazioni speciali (se la luce è insufficiente per impressionare la pellicola la scena deve essere tagliata o si può attaccare un singolo faretto alla cinepresa).
5. Trucchi ottici e filtri sono proibiti.
6. Il film non deve contenere azioni superficiali (omicidi, armi ecc. non devono essere ripresi in nessun caso).
7. È proibita l’alienazione temporale o geografica (cioè il film deve avere luogo qui e ora).
8. Non sono accettati film di genere.
9. Il formato del film deve essere 35 mm standard.
10. Il regista non deve essere accreditato.
Inoltre, come regista giuro di astenermi dal gusto personale! Non sono più un artista. Giuro di non creare un'opera, poiché ritengo l’istante molto più importante dell'insieme. Il mio fine supremo è costringere la verità a uscire dai miei personaggi e dall'azione in sè. Giuro di fare ciò con tutti i mezzi disponibili e a discapito di ogni considerazione di buongusto o di carattere estetico. Pronuncio a questo modo il mio VOTO DI CASTITÀ.
Pubblicato a Copenaghen lunedì 13 marzo 1995, firmato Lars Von Trier e Thomas Vinterberg. Distribuito in occasione della tavola rotonda Il cinema verso il suo secondo secolo di vita "Le onde del destino" e' secondo me un film bellissimo, forse il mio preferito e racconta la storia di Bess (interpretata in un modo incredibile dalla debuttante e bravissima Emily Watson) ragazza che vive in un paesino del nord della Scozia chiuso nel suo provincialismo e tradizioni e del suo amore per Jan; il fim e' ambientato negli anni '70 (bellissima la colonna sonora con alcuni dei piu' bei brani dell'epoca) ed e' diviso in capitoli ciascuno aperto da immagini del paesaggio. Questa particolarita' e il modo in cui il film e' girato(vedi il Dogma95) danno una visione quasi documentaristica facendo entrare le spettatore direttamente nella storia dei protagonisti facendogli percepire le loro emozioni in modo diretto e meravigliosamente brutale; nel film c'era sicuramente l'intenzione da parte di Von Trier di mettere in evidenza il bigottismo e le convinzioni religiose di quel mondo facendolo contrastare con il personaggio di Bess, a mio parere sicuramente modellato sulla base della filosofia degli stadi della vita di Kierkegaard:ovvero lo stadio estetico, quello etico e quello religioso. Ed e' proprio quest'ultimo quello a cui appartiene Bess; il suo personaggio con il suo comportamente che puo' superficialmente sembrare solamente quello di una pazza (e a questo punto il film non avrebbe senso) in realta' manifesta che la vera fede va' al di laì della morale e che l'atto di fede stesso implica un distacco netto dalla razionalita' ed esige il passaggio ad una sfera piu' alta che e' incommensurabile con la ragione naturale. Senza questa riflessione e' impossibile capire a fondo il film.....significativa e' la scena finale con le campane che si mettono a suonare in cielo, quasi a testimoniare l'approvazione divina del sacrificio di Bess. Per quanto riguarda "Dancer In The Dark", vi posto questo in spoiler: Selma, eroina di una tragedia Greca? Un'interessante prospettiva di analisi
La storia di Selma,contrariamente a quanto dice chi sostiene la realtà e la possibilità della vicenda,raccoglie in sé tutta una serie di topoi (la povera immigrata,la povera immigrata cieca,il lavoro in fabbrica....) che si sedimentano sulla voluta prevedibilità dello sviluppo narrativo e dell'intreccio drammatico, eliminando, man mano che il film procede, ogni pretesa di immedesimazione (questo non preclude evidentemente il coinvolgimento). La storia, con la sua oleografia, accostata alla sospensione del reale ed all'accettazione dell'inverosimiglianza che il musical come genere richiede, fa si che proprio la prima veda crollare la propria pretesa di veridicità, di concordanza,su cui si basa la comunicazione nel vissuto. La realtà, la cosa comunemente accettata come realtà, è un accordo tra persone, è la mediazione tra i mondi soggettivi e quanto di questi mondi può essere compreso dagli altri e ritenuto compatibile con i loro.Potrei accettare la vicenda di Selma,di per se stessa,se non ci fosse il musical, ma con il musical no. Potrebbe essere uno scadente film neorealista :-) Le parti cantate, con i loro riferimenti metacinematografici,mi impediscono di aderire ,di cadere,di credere nel dramma della povera ceca(ceca come originaria della Cecoslovacchia).Il musical di per se stesso non crea problemi,è puro specchio,pietra di paragone,un buffone socratico.E' il regista che ci dice:"credi alla musica,l'orchestra sta suonando,non la senti?Il resto? vedi tu..." Poi vengono tutte quelle persone che ho sentito piangere in sala. Anch'io in certi punti mi sono commosso, era impossibile non commuoversi. E questo mi ha colpito.Partendo dalla decostruzione del reale e della matrice narrativa lo spettatore giunge ad una rapporto con quello che vede che non è possibile se non sentimentalmente, simpateticamente.Tutti gli spettatori sono obbligati a questa via. Dall'impossibilità della comunicazione,dall'impossibilità del rapporto-sintesi di tutti gli universi personali, psichici, intellettuali, l'unica cogenza avviene su di un piano istintivo,emotivamente scoperto e vulnerabile.Questa sensibilità porta a sospendere la critica,nel senso kantiano del termine,costringendo ad accettare una realtà inaccettabile per inverosimiglianza,dolore,crudeltà.Il dramma non poteva concludersi in altro modo,o meglio,su di un altro livello tonale.Alla fine del film non si pensa alla spietatezza ed alla tragicità della storia,la si è vissuta come una tragedia greca, inevitabile, catartica. E questo forse è. Lì c'erano gli dei che si trasformavano in animali per rapire le fanciulle, qui i taglialegna che si mettono a ballare. Nell'impossibilità di credere all'univocità del reale,alla sua stessa esistenza,è inevitabile costruire una simulacro di esso,basato sulla traduzione per gli altri di quanto ognuno crede di percepire di esso. N.F. Ed ora questa analisi su Dogville ed anche in generale sugli elementi cardine della filosofia cinematografica di Von Trier.... Una donna sola che si muove ai margini della società e cerca di integrarsi. La sua battaglia non è contro chi la rifiuta, ma contro se stessa; c'è una colpa che sente di dover espiare per conquistarsi il bene verso cui tende. Potremmo dire che questo è il profilo comune dei personaggi femminili di Lars von Trier, il cui prototipo può essere ricercato nella figura di Medea.
Il prototipo di Medea
Nel film che Lars von Trier gira per la tv danese nel 1988, l'eroina di Euripide (nella versione riscritta da Carl Th. Dreyer) cerca l'integrazione (politica e sociale) per sé e per i suoi figli a Tebe, ma il Re la caccerà. Medea sa che la sua natura la condanna ad essere reietta per la società greca (lei, figlia di un dio, dotata di poteri magici, impossibile per lei integrarsi in una cultura "laica"...) e sa che questa colpa ricadrà sui figli; prende quindi la decisone di ucciderli (secondo questa rilettura) non più per compiere una vendetta contro il marito che l'ha rinnegata, Giasone, ma per salvarli da un destino di reietti. Nella scena del duplice omicidio, il figlio più grande aiuta la mamma nell'impresa, come se comprendesse l'ineluttabilità e la giustezza di quel gesto.
Medea è la straniera che non si integra (come l'europea protagonista di Dancer in the Dark, non integrata nella società USA, come la ragazza di Breaking the Waves straniera in casa perché diversa) e che vive nel segno di una trascendenza religiosa (anche qui il rimando alle due eroine citate è pertinente).
Questo sottotesto religioso (colpa, espiazione, trascendenza) è la base di partenza della scrittura del personaggio di Grace in Dogville.
La colpa e l'espiazione
La protagonista di Breaking the Waves intende compiere un percorso di espiazione per una "colpa" che è, in fondo, la felicità "non meritata" del matrimonio piovuta improvvisamente dal cielo; così è la donna di Idiots che, dopo aver perso un figlio, si nega alla logica del lutto per intraprendere un percorso umiliante, massacrante (fare l'idiota!) finalizzato ad oltrepassare un limite: il suo agire "idiota" è il rifiuto di condurre una vita secondo le regole della società (che non le consentono un superamento del lutto!), la sua è una contestazione esistenziale.
Questo discorso prosegue con Selma di Dancer in the Dark, dove la "colpa" che ricade sul figlio è la cecità; un'eredità simbolica da espiare con il sacrifico ultimo, la morte, che è ingiusta secondo la legge degli uomini (lei è palesemente innocente), ma che è giusta secondo una logica dell'espiazione.
Dogville si apre con l'arrivo di Grace in fuga dalla città, scalza e con la pelliccia, due particolari fortemente simbolici: è scalza perché è penitente e indossa la pelliccia perché grava su di lei un'eredità (quella sanguinaria e opulenta del Padre) da cui liberarsi. La prima frase che dice a Tom quando la accoglie è "non merito questo pane".
Grace accetterà tutte le umiliazioni imposte dai cittadini di Dogville pur di rigenerare la propria morale. La città stessa la accoglie come un'occasione di rigenerazione morale collettiva, quell'impellente "riarmo morale" che Tom invoca all'inizio del film nella riunione in chiesa.
Il mito americano
La "campagna" è un topos della letteratura americana, è custode delle origini mitiche, dei valori fondativi della patria, ed è contrapposta alla città, topos di corruzione e violenza. Il mito delle origini colonizzatrici degli Stati Uniti d'America contempla questi due poli: i pionieri fondano una nazione nuova, con una carta dei valori, una morale e una costituzione autoctone (seppure ereditate dall'Europa), in nome della libertà e della solidarietà; ma sono spinti da un istinto di conquista e di sopraffazione che li porterà a fondare questo paese sulla violenza e sullo stermino di altri popoli.
La libertà è il richiamo della nuova Terra "priva di regole"; l'Ordine si impone come sopraffazione e violenza (vedi il discorso del Padre sulla "frusta" nel finale). Libertà intesa come soddisfacimento dell'istinto e Ordine inteso come regolamentazione della ragione sono i due poli del discorso del film, che non ci dice che la società americana nasce dall'Ordine, perché questa porta ancora in seno la lotta mai sedata tra il diritto e gli istinti asociali, in un fallace equilibrio contraddittorio e ipocrita.
Lars von Trier ci dice che la violenza, la sopraffazione e la sete sanguinaria di conquista sono stati alla base della fondazione degli USA; questo è lo spirito che ha spinto i coloni (le fotografie finale del film sono un rimando esplicito al mito dei pionieri). Questa prima tappa della trilogia sull'America, il regista danese la dedica al mito della fondazione e la esplicita nell'immagine che, a sorpresa, nel finale, prende corpo da un disegno, quella del cane che ringhia e difende la proprietà.
Il primo incontro che farà Grace a Dogville sarà proprio con il cane; il cane ringhia allo straniero, difende il suo osso, ma gli sarà sottratto da Grace, metafora della sopraffazione e del falso mito della solidarietà: Grace ha fame e sottrae qualcosa a chi è inferiore a lei. La città stessa, simbolo del mito delle origini, prende il nome di città-cane e alla fine, nella mattanza conclusiva, proprio il cane sarà salvato, non perché non sia coinvolto nella corruzione generale di valori, ma perché rappresenta l'animo più nascosto, più autentico, la radice e lo spirito degli abitanti (pionieri) della città. Il cane simboleggia l'humus sociale, l'istinto su cui il Padre di Grace verrà a portare l'Ordine. Un ordine che è di sangue, di morte, non di educazione e di crescita, non di evoluzione. Ma questa è la tesi scomoda e forte del film: nella fondazione dell'America, all'istintuale violenza sopraffattrice delle origini non è succeduto un ordine di valori, ma una legge del più forte. Il grande assente di Dogville è il diritto.
Grace e il diritto
Quando compare in città, Grace (portatrice di una "grazia" divina, occasione per un "riarmo morale") mette alla prova gli abitanti, tutti pian piano la integrano assegnandole un lavoro; secondo l'etica protestante-calvinista, Grace deve lavorare più di tutti gli altri perché è l'ultima arrivata, perché non appartiene alla comunità e deve conquistarsi una rispettabilità, deve "meritarsi" il suo posto in società. Questa condizione legittima gli altri ad abusare di lei. Il diritto della comunità non si fonda su una morale, su dei valori condivisi (quelli che invoca Tom), ma sul "senso comune", su ciò che tutti giudicano più conveniente. E la convenienza della collettività si intreccia con la convenienza del singolo. Tutti giudicano "moralmente accettabile" la soddisfazione degli istinti più bassi, sessuali e non solo, tutti arriveranno ad abusare sessualmente di Grace e questo non comprometterà l'equilibrio della microsocietà. La soddisfazione dell'istinto, la convenienza, l'opportunismo, l'assenza di regole fondate su valori universali è la vera ipocrisia di Dogville ed è l'accusa più forte mossa da Lars von Trier alla società americana.
Le regole vengono fatte e aggiustate assecondando le esigenze più o meno lecite della comunità. La comunità non è in grado di assoggettarsi alla giustezza di un diritto fondante, per questo il Padre (l'Ordine, il Potere) verrà a portare la suprema "logica della frusta". Grace è l'elemento scatenante, è il vaso di Pandora. La sua personale rigenerazione è impossibile. Ma cosa rappresenta Grace?
Grace, la mela del peccato
Grace cerca una nuova morale, una società alternativa dove sia possibile fuggire la logica della morte, la legge del taglione, la violenza. Cerca quella "purezza" nel mito delle origini decantato dalla letteratura e dal cinema americani, cioè nei "padri pionieri", ma troverà all'ingresso della cittadina, ad accoglierla, un cane ringhiante e sarà costretta (dalla fame) a sottrargli l'osso, a compiere un atto contraddittorio rispetto ai suoi nobili intenti (quel "non merito il pane" che dirà subito dopo!). Nella cittadina troverà non un'alternativa alla città, ma la sua origine, lo spirito più autentico e indisciplinato, per di più mascherato sotto il velo di una falsa coscienza.
La scena che la vedrà sul carro delle mele, violentata dall'autista, ne rivela fortemente la portata simbolica: lei stessa è una mela, l'originaria mela del peccato; rappresenta la tentazione della soddisfazione degli istinti, la tentazione di eludere il diritto e di legittimare la prassi, qualsiasi essa sia, purché condivisa da tutti. Questo, forse, è il primo "peccato originale" dello spirito americano, secondo il regista.
Tom, l'utopia impossibile
Tom, l'aspirante scrittore, racchiude il nocciolo del discorso sulla possibilità di riarmo morale della città. Si innamora di Grace e vorrebbe fuggire con lei, ma non se la sente di abbandonare Dogville, perché è critico nei suoi confronti, ma non riesce ad uscirne. Raffigura il contestatore che non riesce a vedere oltre, che non riesce ad immaginare un posto diverso. Se Tom rappresenta il germe della contestazione, il richiamo alla retta via, lui stesso è però contaminato, "corrotto", sta con un piede dentro e con uno fuori. Contesta da dentro, ma non osa andare contro tutti, ed arriva ad accettare le aberrazioni come la catena a Grace perché decise dalla collettività. Di nuovo, il diritto, la morale, il giusto, non sono concetti universali, ma relativi alla scelta della maggioranza.
Tom è l'utopia impossibile, è l'America che fagocita il germe dell'alternativa, della rivoluzione; perché non si può contestare e credere in qualcosa di diverso, credere con forza e convinzione (come richiederebbe l'utopia!). Tom non crede del tutto a Grace (conserva il biglietto del Padre), non crede nella purezza di quel sentimento che lei le dichiara; Grace lo considera diverso dagli altri e gli promette di andare lontano, in un altro posto, ma lui non vuole essere "diverso" e vuole possederla perché lo hanno fatto tutti. Soprattutto vuole possederla lì, non in un altrove che non riesce ad immaginarsi.
Questo è il problema che emerge in Tom, questo è il dito puntato da Lars von Trier contro gli USA/Dogville: unico mondo possibile, anzi "il migliore dei mondi possibili".
Il finale
Grace diventa come tutti gli altri? Non proprio. Non è cambiata, non è diventata cattiva e corrotta, non va fatto un discorso sulla sua psicologia, perché Grace è l'elemento portante di un discorso teorico. Rendere il pan per focaccia, sterminare tutti, è semplicemente l'imposizione dell'Ordine: una società fondata su simili presupposti non può rigenerarsi, ma evolversi in un'unica direzione, cioè essere piegata al giogo del potere. La pena di morte finale, la strage senza pietà, è la risposta all'infrazione delle regole (e il discorso è attualissimo!), è la strada che porta al ripristino non di una morale che è stata trasgredita, ma della stessa identica morale: i cittadini hanno teorizzato una prassi di comodo, che però non è di comodo al Padre di Grace; essendo tutto fondato sul relativismo, mancando i valori assoluti, la legge del più forte è inevitabile.
Dogville è un film Dogma?
Nei film precedenti del regista si era discusso se le regole estetiche (ed etiche!) del Dogma erano state applicate. In realtà Lars von Trier non ha mai applicato le regole del decalogo. Il Dogma punta ad altro, alla verità del discorso, alla rottura della mimesi, a portare lo spettatore a conoscenza della finzione cinematografica.
Se il film viene confezionato con una suadente fotografia e una suggestiva colonna sonora, se questi elementi, ad esempio, distolgono lo spettatore dal "discorso" dell'opera e lo inducono ad immedesimarsi, a lasciarsi andare troppo alla finzione della forma e all'emotività, allora il cinema ha compiuto un atto illegittimo, ha tradito lo spirito Dogma, non ha parlato alla ragione, ma all'epidermide.
Il Dogma chiede al film di essere chiaro nei suoi intenti, di non essere brechtianamente "gastronomico", di trattare tematiche di rilievo (l' etica) e di non abusare dell'affabulazione della forma cinematografica (l'estetica).
I film di Lars von Trier dichiarano apertamente la propria forma e ne fanno un discorso critico. Facciamo degli esempi.
Dancer in the dark si fondava su un uso drammatico della colonna sonora, elemento messo al bando dal Dogma, ma il discorso non va visto piattamente come applicazione ligia delle regole! Il film faceva un discorso sul musical, adottava il musical come rimando significativo, il musical come sublimazione del reale (vedi scheda nel sito); il discorso sulla forma è motivato ed esplicito, non cerca di ingannare lo spettatore dietro una forma esteticamente bella, ma fa esattamente il contrario.
La parabola religiosa, invece, è la forma del racconto espressa dalla comunità di riferimento di Breaking the Waves, e questo motiva i "siparietti" edificanti, le icone del sacro racconto che intervallano il film e che portano al finale in cielo.
In Dancer in the dark il musical si lega al discorso della mancata integrazione di Selma, quindi al canto come alienazione e sublimazione del reale; in Breaking the Waves la parabola religiosa affronta un discorso critico su una santa reietta. In Dogville la forma attraverso cui l'opera esprime il suo discorso sulle origini della società è il teatro. E la scelta è più che giustificata.
Dogville e la scelta del teatro
Il teatro nasce come espressione della comunità, è il momento di autoanalisi della collettività, di messa in crisi dei valori e/o di riflessione consolatoria. Il teatro è quindi il motivato e sensato rimando estetico del discorso di Dogville: un discorso sulla comunità.
Fedele a questa scelta è tutto il film: abbiamo la città-palcoscenico, le luci teatrali, la recitazione (quella di Nicole Kidman soprattutto) eccessivamente teatrale. Il fatto che le porte, le pareti, le case non ci siano, rimanda ad una forma teatrale particolare, brechtiana, ma rimanda soprattutto allo spirito Dogma: il film richiede allo spettatore di seguire e di calarsi nel "discorso" affrontato dall'opera, non di credere all'illusione realistica, alla mimesi, alla verosimiglianza. Anche per questo la ridondante voce narrante crea una distanza emotiva allo spettatore.
Dogville affronta un discorso simbolico sulla società americana e non lo fa ricorrendo alla sociologia (per questo rigetta il realismo!), ma alla teoria; non presenta un'indagine sull'America, ma una riflessione altamente critica sul "mito" dell'America (per questo il regista ha dichiarato di non essere mai stato in America).
p.s.
Elm Street, la strada dell'olmo (dove però, dice la voce narrante, non c'era mai stato nessun olmo) che attraversa Dogville ha lo stesso nome della strada di Dallas dove fu ucciso Kennedy...
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