Cast Thy Eyes - We Burn Into the Cold Eyes of the Sun
A tre anni di distanza dal’album omonimo, tornano i
Cast Thy Eyes, formazione che nei suoi membri racchiude e ha racchiuso il meglio de
“lu Salentu violentu” , nelle forme passate dei
NonToccateMiranda e grazie al recente apporto di Andrea degli
Shank.
L’utilizzo dell’aggettivo “violentu” non è gettato lì per caso, nelle undici canzoni di
We Burn Into the Cold Eyes Of the Sun, il combo rifugge dagli stereotipi che hanno caratterizzato le contaminazioni moderne legate all’hardcore, andando a riscoprire le radici di un suono metallico che all’inizio degli anni novanta non cercava stacchi dilatati od onanistiche fughe chitarristiche: aggressione, nella sua forma più grezza e ferale.
Ci mettono l’anima i Cast Thy Eyes, e dall’attacco di
The Seed of Anguish non tirano il freno in alcuna occasione, ad eccezione della titletrack che comunque, nonostante freni i tempi forsennati del disco, si cala incosciente in malsani pattern di batteria, dove la melodia è sotterrata sotto le distorsioni delle chitarre e annaspa per cercare la luce.
Impossibile non rimanere annichiliti dalla furia di
Die One Day, tirata quasi a spezzarsi, ossessiva nella cascata di riff che tagliano l’aria come rasoi, valorizzata da un video tanto semplice ed efficace, raffigurante la band dedita a ciò che meglio sa fare: ammutolire con una prova dai tratti animaleschi che ha fatto breccia nei live salentini e oltre.
Il suono è quello della costa est statunitense, vengono in mente gli
Overcast e nei tempi più scavezzacollo, con il basso furente sempre in evidenza a sostenere andamenti capaci di portare la fronte al livello del terreno,
Trying to Erase insegna; i tempi serrati che sanno di
Turmoil e il veleno che emerge in più momenti non può che tirare in ballo l’eredità dei
Deadguy, come Icebox o il finale tesissimo di
Dilemma. Non mancano alcune chitarre di reminiscenza
svedese in
Till the End, ma siamo lontani dalle melodie sciupafemmine dei
Killswitch Engage, se si è in cerca di quelle, beh questo non è il posto adatto, perché è tutto comunque letto nella snellezza compositiva che fu degli
Unbroken, la tappa doverosa dell’altra sponda USA, accorgimenti che rendono il disco assolutamente scorrevole.
L’album è stato co-prodotto dalla band con alcune etichette italiane sotto la sigla della
DIY Conspiracy, uscito in formato A5 deluxe con un booklet in cartoncino di 20 pagine a colori, motivo in più per farlo proprio: chi ama questi suoni, chi ama la passione e il sudore che emergono da queste note (no, non è una cavolata tanto per dire), troverà sicuramente di che divertirsi.